Storie di vita
Storie di vita
N. (Bangladesh)
Sono arrivato in Italia nel 2017, dal Bangladesh. Non sono arrivato attraverso la rotta balcanica via terra, ma ho raggiunto con un viaggio terribile la Libia. Ho lavorato qualche mese in Libia nell’agricoltura, non mi pagavano. Il mio paese è poverissimo, devo provvedere ai miei fratellini e alle mie sorelline, a mia moglie e ai miei figli. Nel mio paese ero agricoltore, ma le piogge rovinano tutto e portano via anche le nostre case. Prima di partire ho trovato un posto per la mia numerosa famiglia in una collina, in modo che la loro vita almeno era al sicuro.
Dalla Libia ho deciso di imbarcarmi per raggiungere l’Italia. Ho fatto domanda d’asilo, ma la povertà del mio paese e il voler lavorare mi avrebbero fatto essere un migrante economico e sapevo che i miei documenti non sarebbero andati a buon fine. Il viaggio in barca è stato terribile, tutti siamo arrivati in Italia, nessuno è morto durante il viaggio, ma abbiamo visto in mare i resti di una barca ed abbiamo pensato che delle persone erano morte.
Dalla Sicilia ci hanno fatto viaggiare e siamo arrivati a Perugia dove ci hanno dato una casa, i documenti e la scuola. Non sono mai andato a scuola, non posso scrivere e leggere nella mia lingua: ho imparato i numeri per poter usare il telefono, contare i soldi per inviarli alla mia famiglia. Aiutato da connazionali sono andato a lavorare nei campi tra Torgiano e Marsciano. Ho lavorato senza contratto ed anche per pochi euro, importante però che mi venivano dati ogni giorno, perché settimanalmente o dopo quindici giorni li spedivo a casa o a mia moglie o ai miei fratelli, perché non avevamo più i genitori.
Ho avuto anche dei contratti per pochi giorni: la vendemmia, le olive, la potatura, la semina, il raccolto di pomodori, peperoni, zucchine.
La Commissione non ha accettato la mia domanda e poi neanche il tribunale. I miei documenti sono scaduti e dovevo lasciare l’accoglienza. Non sapevo dove andare; sono stato aiutato dalle persone che mi hanno seguito per due anni ad andare in una casa della Caritas di Perugia. Avevo perso i miei documenti ma era uscita una sanatoria e quindi potevo mettermi in regola con il lavoro.
Il mio capo mi ha fatto la sanatoria; intanto iniziavo a lavorare con un contratto, ma quando è brutto tempo non lavoro. Invio i soldi a casa e vivo in Caritas. Il mio capo ha capito che la sanatoria è troppo difficile, perché sono richiesti tanti documenti, e non si presenta in Prefettura. Nel frattempo ho cambiato telefono, la Prefettura non ha il mio nuovo numero, la mia domanda di sanatoria è chiusa e rimango senza documenti.
Una persona della Caritas va in Prefettura a chiedere della mia domanda. Se il capo fa alcune cose la mia domanda può essere riaperta. Un sabato questa persona arriva nel campo e parla con chi mi fa lavorare. Il capo dice che se qualcuno l’aiuta vuol farmi i documenti, perché sono bravo al lavoro e lavoro bene. La Prefettura riapre la mia domanda e il prossimo ottobre ho appuntamento con la Questura per avere i miei documenti. Non parlo italiano ancora, però al lavoro capisco quello che mi viene detto di fare.
Ho imparato alcune parole dal mio datore di lavoro, ma quando parlo con gli italiani capisco che non è italiano, ma dialetto. “Oggi non si lavora perché è mollo” dice il mio capo. Ma neanche il traduttore del mio telefonino capisce “mollo”. Dopo alcune settimane capisco quello che lui vuol dire. Passeranno altri mesi prima di avere il soggiorno per la sanatoria. E forse quando mi verrà dato sarà già scaduto perché è passato tanto tempo, e ci vorranno altri mesi. Il prossimo anno quando avrò i documenti saranno passati sette anni da quando non ho visto più la mia famiglia, i miei fratelli, mia moglie ed i miei figli. Prego ogni giorno Dio di poter tornare a casa per una visita il prossimo anno.
Non sono andato a scuola ma lavoro ogni giorno per mandare a scuola i miei figli e i miei fratelli. Ho lasciato la casa della Caritas perché ho preso una camera in affitto, per lasciare il posto ad altre persone che ne hanno bisogno, come ho avuto bisogno io.