Storie di vita
Storie di vita
B. (B. Pakistan)
Mi chiamo B., sono del Pakistan, ho 27 anni. Ho deciso di lasciare il Pakistan perché ho avuto molti problemi legati a motivi religiosi. Io sono di religione sciita, mentre la mia famiglia è di un'altra fede religiosa. Inizialmente io seguivo la religione della mia famiglia, i Deoband (sunniti), poi, lavorando in fabbrica con alcuni miei amici, ho potuto conoscere la religione sciita, e comprendere le differenze con la mia religione iniziale.
Ho studiato la religione sciita e ho deciso che coincideva meglio con la mia persona. La mia famiglia si mise tutta contro, chiedendomi perché facessi questo. Mi sono innamorato di una ragazza sciita, ne ho parlato con la mia famiglia per avere il loro consenso, ma erano contrari. La famiglia di lei era d’accordo in quanto avevo una casa e un lavoro, ed ero l’unico figlio maschio; ma la mia famiglia si opponeva.
Il problema fu soprattutto un mio cugino (seguace del gruppo Deoband) dedito totalmente alla sua religione; mio cugino mi minacciava, veniva a casa, mi perseguitava per convincermi di non sposare la mia fidanzata e di tornare alla mia religione iniziale (Deoband). Minacciava anche la mia famiglia, inducendoli a farmi tornare alla mia fede iniziale, altrimenti avrebbe infangato il mio nome e quello dei miei parenti. Mio cugino è molto potente perché lavora con la polizia, si è inventato che avevo fatto una scritta offensiva sul pavimento e ha convinto tutta la mia comunità che ero stato io.
Diceva a tutto il mio villaggio che dovevano uccidermi perché l’unica punizione per i compagni insolenti è la decapitazione. Il capo religioso di mio cugino ha fatto una “fatwa”, per cui chiunque mi incontrava poteva farmi del male. A questo punto mio padre mi ha chiesto di lasciare il paese, per proteggermi in quanto, se fossi rimasto, potevano catturarmi ed uccidermi.
Così sono partito. Mio padre conosceva delle persone che mi avrebbero potuto aiutare a lasciare il paese. Prima ho cambiato città, dopodiché mi sono diretto in Iran dove sono rimasto pochi giorni, poi sono andato in Turchia. Qui mi sono fermato per qualche mese, infine sono andato in Grecia e mi sono fermato per un anno. Tutto il viaggio fino alla Grecia l’ho fatto a piedi con circa altre 15/20 persone, in condizioni pessime, senza acqua o cibo; dormivamo nei boschi lontano dalle città.
In Grecia mi sono fermato a lungo per lavorare e mettere da parte i soldi per proseguire il mio viaggio; sono rimasto oltre un anno. Ho lavorato in un allevamento di polli. Una volta guadagnati i soldi necessari, ho deciso di partire per l’Italia: per me rappresentava un posto sicuro, dove potevo lavorare senza sentirmi minacciato. Sono partito a piedi dalla Grecia con altre 30 persone circa, abbiamo attraversato la Macedonia, la Serbia, la Bosnia, la Croazia, la Slovenia per arrivare finalmente in Italia. Se la polizia ci fermava in qualche paese ci rimandava subito indietro, per arrivare ci abbiamo messo 6 mesi. Sono arrivato a Gorizia, poi mi sono diretto a Cremona e da lì un mio compagno di viaggio mi consigliò di andare a Perugia: a suo parere è una città accogliente e adatta alla mia situazione. Sono in accoglienza da due anni circa, devo ancora fare la Commissione Territoriale poiché in Slovenia la polizia ha scritto che avevo fatto domanda di asilo.
Per questo motivo, secondo la Convenzione di Dublino, dovevo tornare in Slovenia. Ho fatto ricorso in Tribunale, ed ora posso rimanere in Italia, in attesa dell’audizione in Commissione perché la mia richiesta di asilo possa essere presa in esame dall’Italia.
Attualmente lavoro in un ristorante come aiuto cuoco, desidero imparare l’italiano e, una volta ottenuti i documenti, trovarmi una sistemazione che mi permetta di vivere dignitosamente. Con il mio lavoro aiuto economicamente i miei genitori in Pakistan.