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Storie di vita

Storie di vita

A. (Egitto)

Alla fine del mese di novembre 2020, arriva in diocesi una telefonata: un ragazzo egiziano, cristiano appartenente alla Chiesa copta, è stato costretto a lasciare il suo paese e si trova in Europa, ma non riesce a chiedere a nessun paese la protezione internazionale. E’ riuscito a raggiungere la Svizzera ma non riesce a formalizzare la richiesta neanche lì. E’ stato informato che non potevamo aiutarlo se non riusciva ad arrivare in Italia. Il giorno dell’Immacolata Concezione, ha raggiunto l’Italia ed è arrivato a Perugia. Abbiamo pagato un albergo e preso per lui un appuntamento in Questura per la richiesta d’asilo politico. Non abbiamo detto a lui quale fosse il nostro impegno lavorativo, abbiamo aspettato che venisse deciso il progetto in cui doveva essere accolto liberamente. La questura ci chiama alla fine della mattinata e ci comunica che c’era un ragazzo egiziano da accogliere. Si trattava di A.: il nostro A. Siamo corsi a prenderlo, felici di comunicargli che eravamo noi ad accoglierlo e a parlargli finalmente del nostro operato in favore dei richiedenti protezione internazionale.

In Egitto A. era un dipendente statale, è sposato e quando ha lasciato il suo paese la moglie aspettava una bambina, che è nata senza che A. potesse vederla se non attraverso videochiamate. Sono arrivati per lui i primi documenti italiani, e poi l’attesa della Commissione e le lezioni di italiano. La Commissione che doveva esaminare la sua richiesta di asilo è arrivata. A. ha lasciato il suo paese perché accusato di essere responsabile della conversione religiosa di una sua collega di lavoro. Lui ha il crocefisso tatuato nel polso e la collega, conoscendo anche sua moglie e la sua famiglia, si converte al cristianesimo. Per questo viene aggredito più volte ed anche al lavoro ha i suoi problemi e deve lasciare l’Egitto.

La sua storia anche noi fatichiamo a comprenderla, perché A. è molto introverso e riesce ad esprimere le sue esperienze con difficoltà. La Commissione non riconosce lo status di rifugiato e viene fatto un ricorso in Tribunale. A. continua a studiare l’italiano e a cercare qualche lavoro per inviare alla sua famiglia, che vive protetta in una struttura della Chiesa egiziana, il necessario per vivere.

Qualche mese fa il Tribunale riconosce lo status di rifugiato ad A., che ora, inserito in un S.A.I., può continuare il suo percorso di integrazione ed iniziare a progettare l’arrivo in Italia di sua moglie e della sua bambina. Non è stato un percorso semplice, spesso si è sentito smarrito e l’attesa si è più volte unita alla disperazione. La famiglia in Egitto non sempre comprendeva le sue difficoltà e perché si dovesse attendere per mesi una risposta, una richiesta, e perché poi dovessero arrivare, tra tanto dolore, anche risposte negative.

Per il progetto diocesano di accoglienza, A. ha rappresentato, in tanti anni di attività, la prima esperienza di incontro con una persona proveniente dall’Egitto, eppure dopo la sua accoglienza sono arrivati altri ragazzi egiziani, di fede cristiana.

Lo status di rifugiato è stato difficile da ottenere poiché A. non poteva avere dalla Chiesa copta nessun tipo di documentazione che potesse provare i suoi “racconti sofferti”. La Chiesa egiziana temeva delle ripercussioni per avere prodotto la documentazione richiesta. Questa realtà più volte ci ha rimandato a fatti di cronaca internazionale che hanno visto in Egitto persone perseguitate per il loro credo religioso e politico.

Per superare questa lunga attesa ed i momenti di difficoltà, A. ha partecipato ad un laboratorio teatrale dell’associazione culturale “Smascherati”, con il progetto “Teatro Rifugio”, che mira a favorire l’inclusione sociale attraverso il laboratorio teatrale interculturale, composto di incontri settimanali e che è terminato con uno spettacolo finale. Uno spettacolo sui temi del migrare, a cui abbiamo assistito come operatori dell’accoglienza, per riflettere attraverso l’arte sulle nostre azioni.